È pagato a parcella, come un avvocato o un commercialista, niente provvigioni o commissioni basate sui volumi o sul risultato. Ed è obbligato, per legge, all’imparzialità nelle scelte di investimento. È il consulente finanziario indipendente, una figura ancora di nicchia, poco nota o magari confusa con altre da parte dei risparmiatori, ma in decisa crescita. Oggi, gli iscritti all’apposito Albo sono 340, tutti liberi professionisti, cui si aggiungono 46 Scf (società di consulenza finanziaria indipendente).
«Numeri in rialzo del 22% rispetto al 2019, cioè il primo anno in cui la categoria ha assunto l’organizzazione attuale» racconta Giulia Armellini, project manager di Consultique Scf, la principale tra le società del settore. Infatti, è solo dal dicembre 2018 che la regolamentazione della professione ha assunto la forma di oggi. L’Ocf (Organismo di vigilanza e tenuta dell’Albo unico dei consulenti finanziari) è suddiviso tra una sezione riguardante gli “indipendenti” e un’altra per i consulenti “abilitati all’offerta fuori sede”, conosciuti con la vecchia dicitura di promotori finanziari.
Pur facendo parte dello stesso Albo, e dando per scontate professionalità e qualità del servizio da entrambe le parti, tra le due figure vi è una differenza sostanziale: l’ex promotore lavora come dipendente, agente o mandatario di un unico intermediario (banca, Sim, Sgr) di cui distribuisce in esclusiva prodotti e servizi finanziari, traendo la propria retribuzione dalle provvigioni erogate dall’istituto. Al contrario, il consulente indipendente è chiamato a conoscere e a consigliare qualunque prodotto finanziario o assicurativo disponibile sul mercato, ma viene pagato dal cliente finale per la sua attività di analisi (con una fee complessiva o talvolta anche “a ora”), senza alcun rapporto con gli istituti che emettono polizze, fondi e così via. Anche per questa differenza, solo il consulente indipendente è obbligato per legge a sottoscrivere una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile, per eventuali danni derivanti da negligenza professionale.
L’identikit
In media, chi svolge oggi questa attività ha un profilo relativamente maturo, almeno intorno ai 45 anni, e opera come autonomo o all’interno di una società, dove viene inquadrato come collaboratore a partita Iva o assunto in forma subordinata. «Ogni consulente può seguire intorno a 30-35 clienti, con i quali in media ci si incontra ogni tre mesi» spiega Armellini di Consultique. Ma si guadagna di più o di meno, rispetto ai promotori? «Dipende. Quest’ultimo, se ha una clientela consolidata nel tempo, incassa ogni anno grazie alle commissioni anche senza trovare nuovi clienti o spostare portafogli. Ma per i più giovani è diverso». Un trend in evoluzione vede una fascia di lavoratori intorno ai 35-37 anni, che magari hanno accumulato esperienza all’interno di una banca ma sono stati coinvolti in processi di chiusura di filiali e ora tentano la strada della consulenza autonoma. Affiancati da alcuni giovanissimi non interessati al tradizionale percorso di carriera in banca, che desiderano subito approfondire la materia.
La clientela
«Come età e disponibilità economica la casistica è varia, non si tratta solo di soggetti con alti patrimoni» chiarisce Giulia Armellini. «Molte volte sono capi famiglia che chiedono un’analisi dei propri investimenti, ma anche di contributi previdenziali, di immobili, di strade più idonee per garantire una successione. Ma ci sono anche giovani lavoratori che desiderano impostare al meglio una previdenza integrativa e gestire un po’ di denaro sul conto.
La asset allocation è uno sbocco naturale dell’analisi, eppure succede che l’esame si concluda senza sottoscrizione. In linea generale, si imposta un discorso di lungo periodo. Il consulente finanziario non è l’interlocutore indicato per chi fa trading o vuole muovere spesso il portafoglio».
Adriano Lovera